[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column width=”3/6″][vc_column_text el_class=”justify”]Impact Insights #5 – London, March 2017


Rodolfo Fracassi, Managing Director

Marco Foglizzo, Investment Director

Enrico Lo Giudice, Research Associate

Si sente sempre più parlare di investimenti sostenibili, c’è chi li chiama SRI, chi ESG e chi Impact creando così non poca confusione in un interlocutore che per la prima volta desideri adottare questo approccio all’investimento. Proprio di questo si tratta, un modo diverso e complementare di interpretare la gestione del portafoglio, che va da semplici criteri di esclusione, fino alla ricerca di investimenti che si pongano come obiettivo principale la ricerca intenzionale di risultati sociali e ambientali, passando per la valutazione del comportamento e le politiche aziendali. Ma andiamo con ordine, cerchiamo di dare una forma agli investimenti sostenibili, evidenziando le differenze nei diversi approcci oggi esistenti.

Sono gli anni 60 quando si osserva la nascita del Socially Responsible Investing (“SRI”), approccio d’investimento etico che prevede l’esclusione dai portafogli di aziende operanti in settori quali alcool, tabacco, pornografia, gioco d’azzardo ed armi. Durante un periodo di oltre quarant’anni l’SRI entra sempre di più nei portafogli degli investitori che però non si accontentano di una semplice esclusione di alcuni settori, vogliono di più. Quello che cercano è una selezione fatta secondo criteri positivi. Siamo all’inizio degli anni 2000 e nasce così l’Environmental, Social, Governance, detto anche ESG. Basato sulla selezione di investimenti secondo criteri ambientali, sociali e relativi alla struttura di controllo, l’ESG prende in considerazione le esternalità create da ogni azienda in campo ambientale (per esempio come gestisce il tema dell’inquinamento), in campo sociale (per esempio la gestione della filiera produttiva o del personale) ed infine le pratiche interne legate alla governance aziendale. In estrema sintesi l’approccio ESG valuta il comportamento delle aziende in merito a temi di grande rilevanza e le politiche adottate per gestirli. Dopo la ricerca di criteri positivi, gli investitori si pongono un’altra domanda: “come facciamo a generare rendimenti finanziari insieme ad un impatto intenzionale?”. Cosa si intende per impatto intenzionale? Investire in una società produttrice di energie rinnovabili perché voglio abbattere i consumi di CO2, o investire in una banca che si concentra solo sul finanziamento di micro, piccole e medie imprese perché voglio favorire lo sviluppo del tessuto economico e sociale locale. Questo nuovo approccio prende così il nome di Impact Investing. Le aziende menzionate in questi esempi, oltre ad adottare un comportamento virtuoso, offrono anche prodotti e servizi intenzionalmente dedicati a risolvere questioni sociali e ambientali in modo economicamente sostenibile. Quello che si osserva in quasi sessant’anni è, dunque, l’evoluzione nella selezione degli investimenti, andando a cercare sempre più un impatto sociale ed ambientale mirato, fermo restando la ricerca di rendimenti finanziari allineati con il mercato.

Attualmente, il mercato delle società quotate che rispetta i parametri SRI ammonta a USD 22 trilioni mentre quello delle società identificate secondo criteri ESG risulta pari a circa USD 11 trilioni. Per quanto riguarda gli Impact Investments, oggi questi rappresentano una nicchia ma si stima che raggiungeranno i USD 1.8 trilioni nei prossimi 10 anni. Gli investimenti sostenibili nel loro insieme sono accessibili attraverso molteplici classi di attivo e strumenti, come nel caso di fondi specialisti o gestioni dedicate.

Infine, secondo recenti studi, risulta che circa il 66% degli HNWI e dei Millennials è interessato agli investimenti SRI, ESG ed impact, mentre tra gli investitori istituzionali l’interesse cresce costantemente raggiungendo quota 50% negli ultimi anni.

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